1 Febbraio 2016 di Mariacristina Coppeto
Interviste News

La sua è la pizza napoletana, quella della tradizione popolare. Il suo mantra è non dimenticare mai che la pizza nasce come cibo povero, ma che può veicolare, partendo da un’impasto fatto a regola d’arte, tutto il meglio che un territorio sa esprimere, selezionando ingredienti e fornitori con estrema accuratezza.

Oltre a saper fare egregiamente la pizza, ha anche altre doti. È un bravo comunicatore, fa con passione il suo lavoro tramandato da generazioni e ama molto raccontare tutto ciò. Mi piace sottolineare, ma non sono la sola, che ha un cuore grande.

Sto parlando di Gino Sorbillo, maestro pizzaiolo napoletano ben noto in tutta Italia, ma anche all’estero. La sua pizza da qualche tempo è sbarcata anche a Milano (dove sono in arrivo altre novità) ed è andata oltreoceano in occasione di eventi e nuovi progetti.

Per quanto mi riguarda, la sua pizza, mangiata a Napoli ha tutto un altro sapore. Quella preparata nella sede di Via dei Tribunali è la mia preferita, l’impasto è sempre leggerissimo e come dice Gino, è “una tela su cui ricamare quello che desideri” e “ogni giorno la mia pizza è diversa, perché io sono diverso ogni giorno che passa”.

In attesa delle novità milanesi, ho fatto una chiacchierata con il principe della pizza napoletana.

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Gino, una volta per tutte, qual è il segreto della tua pizza?

Il segreto della mia pizza è la leggerezza. È l’evoluzione della storica pizza a portafoglio o a libretto (pizza di dimensioni più piccole rispetto al solito, che si piega su se stessa e si mangia per strada, ndr) che per secoli, ma ancora oggi, viene venduta nei vicoli di Napoli ed è l’emblema dello street food partenopeo.

Le parole pizza e innovazione, secondo te, possono essere pronunciate insieme?

Secondo me si. Il mio cuore ha radici nella tradizione, però credo di essere riuscito ad innovare questa tradizione rendendola più attuale, per meglio avvicinarla anche alle nuove generazioni.

La pizza non è più solo quella napoletana. Ci sono pizzaioli esperti da Roma in su, passando per Bologna fino ad arrivare in Veneto, che realizzano un’ottimo prodotto. Qual è il rapporto e il confronto con questi tuoi colleghi?

Il rapporto con le altre correnti di pizza è molto interessante. Io stesso, insieme a Renato Bosco (Saporè Verona, ndr) ho portato il primo PizzaUp (simposio tecnico sulla pizza italiana, ndr) a Napoli alcuni anni fa, alla Città del Gusto del Gambero Rosso. Da quel momento in poi, molte cose nel mondo della pizza non sono state più le stesse. Sono aumentate le occasioni di confronto, i dibattiti, le polemiche, la ricerca con approfondimenti e laboratori. Da napoletano che lavora con un prodotto che segue una tradizione centenaria, ho dimostrato che il futuro è considerare tutto il mondo della pizza, a 360 gradi. Volevo che Napoli si aprisse verso altre scuole di pizza, altrettanto importanti. Dai sani confronti vengono fuori solo cose buone e costruttive. Fu un bel segnale per il mondo della pizza e per tutti gli appassionati.

Quali sono le doti che oggi deve avere un bravo pizzaiolo?

Sicuramente la riflessione, la memoria e poi la precisione, padroneggiare la tecnica e la conoscenza del forno. Non immagini quanto sia importante anche la voglia di migliorare giorno dopo giorno senza mai dare nulla per scontato, anche quando si pensa di essere arrivati in cima.

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Per molti giovani sei un bell’esempio. Un grande professionista che ottiene soddisfazioni personali e riconoscimenti internazionali. Come si diventa Gino Sorbillo? 

Credo molto nell’importanza di trasmettere oltre al prodotto che si realizza, anche la propria sensibilità. Il mio percorso non è stato semplice, nasco in un quartiere difficile, ma ho sempre visto e riconosciuto il bello e il buono anche nei momenti peggiori e più bui. In 21 anni ho dimostrato che ci sono sempre nuove possibilità per chi vive in una città come Napoli. Sono stato anche da esempio per tanti giovani “scugnizzi” a cui ho cercato di far capire di incanalare nella giusta direzione la loro vivacità e le loro capacità, di imparare un mestiere onesto e vivere dignitosamente, mantenendo le distanze da situazioni sbagliate.

Dopo l’arrivo a Milano di Lievito Madre al Duomo, l’apertura nella tua città di diverse sedi di “Antica Pizza Fritta da Zia Esterina Sorbillo”, di cui si attende un’imminente apertura anche a Milano, di sicuro c’è qualcos’altro che bolle in pentola, anzi, nel tuo forno a legna. 

Da circa un anno, sto cercando di onorare anche la memoria di Zia Esterina Sorbillo, primogenita dei 21 figli (tutti pizzaioli) che ebbero i miei nonni, aprendo nelle principali vie di Napoli, dei piccoli punti in cui si prepara solo la pizza fritta. Sono partito da un ragionamento, il fatto che noi napoletani diamo per scontato che la pizza fritta sia conosciuta come quella al forno, ma che in realtà non è così. Qualche giornalista ha definito la Pizza Fritta Napoletana come una “sconosciuta meraviglia”. L’impasto della pizza tradizionale è perfettamente uguale a quello della pizza fritta, che non è un prodotto di rosticceria, ma anch’essa frutto dell’antica tradizione partenopea. Nell’impasto della mia pizza non sono presenti grassi, non c’è latte, non c’è zucchero, ma solo acqua, farina di agricoltura biologica tipo 0, lievito naturale, sale marino e tanto amore. Viene farcita e fritta al momento sotto gli occhi dei clienti, che possono assistere alla lavorazione e vedere dal vivo gli ingredienti utilizzati nel ripieno: pomodoro biologico “Gustarosso”, ricotta di bufala “Il Casolare”, provola misto latte di bufala affumicata con paglia, salamino di Faicchio (BN), prosciutto cotto nazionale da cosce fresche, ciccioli artigianali campani e pepe nero macinato grosso. Intanto, l’apertura di una sede a Milano, in pieno centro nei pressi de La Rinascente e a pochi metri dalla sede di Lievito Madre al Duomo, è davvero imminente. Un altro progetto, a cui sto lavorando da un po’, è l’apertura di una nuova sede a New York per cercare di portare il mio lavoro, la mia energia e un pezzo della storia di Napoli anche oltreoceano.

 

*Immagini fornite dall’intervistato

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